- ALLERGIE -

Definizione di allergia

Con il termine “allergia”, in medicina, s’intende una risposta esagerata da parte dell’organismo nei confronti di certe sostanze non nocive. In pratica, si tratta di una “abnorme iperreattività immunitaria specifica verso sostanze innocue per i soggetti normali”. Il sistema immunitario delle persone allergiche va incontro, così, ad una reazione anomala quando entra in contatto con i cosiddetti allergeni. Questi sono costituiti da tutte quelle sostanze in grado di stimolare una reazione allergica negli organismi ad essi sensibilizzati. Gli allergeni vanno ben distinti dagli antigeni: i primi sono sostanze capaci di produrre una reazione IgE-mediata (classe di anticorpi); i secondi sono sostanze in grado di sensibilizzare un soggetto, scatenando reazioni immunologiche diverse, anche non IgE-mediate.

Le IgE sono anticorpi ad alta specificità d’azione, appartenenti alla famiglia delle immunoglobine (sostanze capaci di legarsi agli antigeni esterni e di neutralizzarli). Le IgE Sono responsabili di tutto il processo di reazione che determina l’allergia. Esse, infatti, sono prodotte in quantità elevata nei soggetti allergici; hanno il compito di legarsi ai mastociti e ai linfociti basofili, “sensibilizzandoli”.


LE REAZIONI
IgE-MEDIATE

Sono reazioni dovute agli anticorpi IgE, che si fissano ai recettori specifici di diversi elementi cellulari, soprattutto dei mastociti e dei basofili. Quando le IgE specifiche incontrano il relativo allergene si provoca un’intensa attività cellulare, da cui si liberano mediatori chimici (l’istamina). Questi creano nel nostro organismo diverse modificazioni fisiopatologiche tipiche dell’allergia, tra cui la vasodilatazione, la contrazione della muscolatura liscia e il richiamo degli eosinofili (particolari globuli bianchi, presenti nel sangue).


LE REAZIONI NON
IgE-MEDIATE

Comprendono quattro diversi tipi di reazioni, che sono:

 

Gli allergeni

Gli allergeni, le sostanze responsabili delle reazioni allergiche, sono molto numerosi e possono essere classificati in diversi modi (per l’origine, per la durata dell’esposizione, ecc.). In genere, si è soliti distinguerli in base al modo con cui avviene l’esposizione del soggetto. In questo caso, avremo:


GLI ALLERGENI DA INALAZIONE

Che comprendono i pollini, i dermatofagoidi (gli acari) e gli altri parassiti presenti nelle polveri ambientali, i derivati di origine animale (squame, forfora, peli, ecc.), le spore fungine, ecc. Anche alcuni farmaci possono raggiungere l’organismo per via inalatoria (aerosol), ma questo avviene solo in casi molto rari. 

Questi allergeni, in genere, danno luogo a manifestazioni cliniche che riguardano le vie respiratorie, come la rinite allergica e l’asma bronchiale. Tali manifestazioni rappresentano il 60% di tutte le sindromi allergiche.


GLI ALLERGENI DA INGESTIONE

Costituiti da alcuni alimenti (sia vegetali sia di origine animale), da sostanze chimiche o da certi farmaci. Le allergie da alimenti, in genere, provocano manifestazioni cutanee e a carico delle mucose (come l’orticaria, l’angioedema, ecc.). Possono verificarsi, però, anche sindromi orali, respiratorie, gastrointestinali o a carico di altri apparati. I farmaci, come gli alimenti, oltre allo shock allergico, possono causare manifestazioni cutanee, respiratorie ed ematologiche.


GLI ALLERGENI DA PUNTURA O DA INIEZIONE

Che comprendono principalmente alcuni farmaci e veleni di insetti. Le allergie da somministrazione parenterale (da iniezione) di farmaci sono molto simili a quelle causate per via orale, ma più gravi caratterizzate da una rapida comparsa della sindrome allergica. Le allergie da veleno di insetti, in Europa, sono dovute principalmente agli Imenotteri. Vi sono poi le api, le vespe e i calabroni che, per la sensibilizzazione di alcuni soggetti alle sostanze allergiche presenti nei loro veleni, possono generare reazioni locali e shock allergici.


GLI ALLERGENI DA CONTATTO

I cosmetici, i metalli, i farmaci per uso topico, alcune sostanze di origine vegetale, sostanze chimiche diverse, ecc. Questi allergeni, in genere, danno reazioni cutanee, sottoforma di dermatiti da contatto.

Gli allergeni, come già spiegato all’inizio, vanno distinti dagli antigeni. Questi ultimi sono sostanze in grado di provocare una specifica risposta immune. Una sostanza, per essere definita un allergene, deve avere queste caratteristiche particolari:

L’estraneità,
poiché deve essere ritenuta estranea al nostro organismo

La forma molecolare “grande”,
(come i polisaccaridi, le proteine, i polipeptidi sintetici o i polimeri).

La complessità molecolare,
cioè la molecola deve essere composta da diverse unità.

I fattori genetici,
poiché può essere fonte di reazione per più soggetti legati da familiarità e per altri no.

 

Il sistema immunitario

Il nostro organismo, per sopravvivere, deve saper distinguere gli elementi propri (detti self) dagli elementi esterni (detti non self). I vari componenti del sistema immunitario, così, hanno il compito di individuare ogni elemento nel nostro corpo e, se ritenuto dannoso, di eliminarlo. L’immunità è distinta in “naturale” e “acquisita”.


L’IMMUNITÀ NATURALE

È quella che l’individuo possiede dalla nascita. L’uomo, infatti, per natura è immune verso determinate malattie che, invece, colpiscono gli animali, come la peste suina. Alcuni soggetti, però, possiedono meno immunità rispetto ad altri per determinate malattie; per esempio, l’immunità per la tubercolosi è meno forte in certe popolazioni primitive rispetto ai paesi europei.


L’IMMUNITÀ ACQUISITA

Si suddivide, a sua volta, in immunità attiva e passiva.

L’immunità acquisita attiva
può avvenire per mezzo di una malattia o per mezzo di una vaccinazione. Nel primo caso insorge quando un organismo produce anticorpi contro l’agente di una determinata malattia. In genere l’attività immunitaria si protrae per un periodo più o meno lungo dopo la guarigione. Il nostro sistema immunitario, infatti, dispone di una “memoria” interna capace di riconoscere l’agente estraneo ogni qual volta si ripresenta. Nel caso di immunità attiva da vaccinazione, si ottiene l’immunizzazione grazie all’inoculazione di un vaccino. Quest’ultimo è una sostanza che contiene virus o batteri patogeni morti o indeboliti. Una volta iniettato nel nostro organismo, il vaccino provoca una produzione di anticorpi in grado di difenderci dall’attacco di specifici virus o batteri.

L’immunità acquisita passiva
è trasmessa dalla madre o può essere acquisita per trasferimento di anticorpi da un paziente ad un altro. Nel primo caso è la madre stessa che trasmette l’immunità contro una determinata malattia direttamente al feto attraverso la corrente sanguigna, o che trasmette l’immunità al neonato tramite il colostro (il primo liquido che esce dai seni della madre nei giorni subito dopo il parto). Nel secondo caso, l’immunità passiva può essere acquisita grazie all’iniezione del sangue di un individuo, già colpito e guarito dalla malattia; oppure grazie all’inoculazione del siero di animali, i quali sono stati messi a contatto con la malattia sviluppando, così, i relativi anticorpi per debellarla. Questo tipo di immunizzazione, però, dura in genere solo per un breve periodo.

L’immunità, inoltre, può essere distinta in specifica e non specifica:


L’IMMUNITÀ NON SPECIFICA (O CELLULARE)

È la prima linea di difesa del nostro organismo. Esempi di immunità non specifica sono le reazioni meccaniche, come la tosse, gli starnuti e le attività delle cilia vibratili dell’epitelio respiratorio; la formazione di cerume nelle orecchie; l’attività delle cellule della fagocitosi (leucociti neutrofili e monociti) e l’attività delle sostanze circolanti nel sangue che danneggiano gli agenti invasori (il complemento e l’interferone).

Le cellule coinvolte nell’immunità non specifica sono


L’IMMUNITÀ SPECIFICA

Questo tipo di immunità ha due caratteristiche importanti: un’alta specificità e una memoria immunologica. Il sistema specifico, a differenza di quello cellulare, non funziona sempre in modo efficace al primo incontro con la sostanza non-self potenzialmente dannosa; al contrario, tale sistema si attiva al secondo incontro e nei successivi, dopo aver attivato la memoria immunologica al fine di riconoscere le configurazioni chimiche altamente specifiche presenti sugli antigeni. Le cellule coinvolte nell'immunità specifica sono:

L’immunità specifica, a sua volta, può essere distinta in umorale e cellulo-mediata:

L’immunità umorale
le cellule responsabili dell’immunità umorale sono i linfociti B, che riconoscono l’antigene tramite recettori presenti sulle membrane cellulari. Una volta riconosciuto l’agente non-self ritenuto nocivo per l’organismo, i linfociti si moltiplicano e si differenziano in plasmacellule che, a loro volta, producono immunoglobine, le quali presentano la stessa specificità. Le immunoglobine prodotte (Ig), dette anticorpi, vanno nei vasi sanguigni e penetrano negli spazi dei tessuti al fine di trovare l’elemento esterno. Una volta riconosciuto l’agente estraneo, è legato e, con l’aiuto del sistema non specifico, è eradicato completamente. Questo tipo d’immunizzazione è fondamentale per l’eradicazione dei batteri, responsabili di numerose infezioni.

L’immunità cellulo-mediata
le cellule responsabili dell’immunità cellulo-mediata sono i linfociti T. L’antigene è riconosciuto tramite alcuni recettori presenti sulle membrane cellulari. Una volta riconosciuto l’elemento non-self, si attivano alcuni meccanismi in grado di eradicare completamente l’antigene. I linfociti T producono le citochine, sostanze che agiscono sulle altre cellule del sistema immunitario coinvolgendole nel processo di immunizzazione. Questo tipo di immunità è importante nei trapianti d’organo e per eradicare i virus. 
Secondo l’attività svolta, si distinguono: i linfociti Th (T-helper) se hanno lo scopo di facilitare la produzione degli anticorpi; i linfociti Ts (T-suppressor) se servono a limitare la produzione di anticorpi da parte dei linfociti B. Altre sottoclassi dei linfociti T sono le cellule K, NK, LAK.

 

La sensibilizzazione

Quando il nostro sistema immunitario riconosce una sostanza estranea, gli anticorpi reagiscono specificatamente contro di essa. La reazione immunitaria può essere difensiva, come avviene con la vaccinazione, o dannosa, quando sono alterate le cellule e i tessuti prodotti direttamente o indirettamente dalle reazioni immunitarie. 

Nelle allergie, la sensibilizzazione avviene nei confronti degli allergeni, generalmente innocui per i soggetti normali.  L’allergene, una volta introdottosi nell’organismo, è subito riconosciuto dai macrofagi (mastcellule o mastociti); queste sono cellule del sistema immunitario in grado di inglobare ed espellere l’agente estraneo. In pratica, l’antigene è portato dentro la cellula (è, cioè, fagocitata), è “spezzata” in più parti ed analizzata. Parti della sostanza sono poste esternamente alla membrana cellulare, così da renderla riconoscibile ai linfociti T. Questi, legandosi all’allergene, producono particolari sostanze, tra cui l’interleukina 4 (IL-4). La funzione di questa sostanza è di regolare e trasformare i linfociti B che, messi in contatto con i linfociti T, promuovono la sintesi delle IgE.

 

La reazione allergica

Quando un allergene viene in contatto con un mastocita (o un basofilo) sensibilizzato, s’innescano una serie di reazioni chimiche. Queste portano alla degranulazione della cellula, facendo fuoriuscire determinate sostanze responsabili dei sintomi allergici. Tali sostanze sono l’istamina, le prostaglandine, le leucotrieni e altre più specifiche.

La reazione allergica può essere immediata o tardiva.


LA REAZIONE IMMEDIATA

Avviene tramite l’attivazione immediata dei mastociti, i quali si degranulano rapidamente. La reazione, infatti, termina subito cinque minuti dopo lo stimolo immunologico. 


LA REAZIONE TARDIVA

Può spesso accompagnare la reazione allergica immediata. I numerosi test di provocazione specifica diffusi negli ultimi anni, infatti, hanno permesso di dimostrare che spesso l’allergene, oltre ad una reazione rapida e istantanea, può dar luogo a reazioni prolungate e persistenti. I sintomi, in questi casi, possono comparire dopo molte ore e continuare anche per diversi giorni. A causare l’azione tardiva è la “chemiotassi”, un fenomeno con cui i mastociti richiamano nei tessuti interessati (vie aeree, mucose nasali, ecc.) altre cellule, permettendo così una filtrazione tissutale di eosinofili, basofili e monociti, richiamati dal leucotriene e dall’ECF (Eosinophil Chemotactic Factor). Questi prolungano la durata della reazione allergica e ne aggravano la sintomatologia.

La reazione allergica va distinta dall'allergia pseudoallergica, una manifestazione clinica simile all’allergia, ma con un diverso meccanismo. Queste reazioni, infatti, sono sempre extraimmunologiche. Gli antigeni che causano le allergie pseudoallergiche, nella maggior parte dei casi, sono farmaci (per es. i polipeptidi), alimenti (come l’albume d’uovo) e additivi alimentari.

 

Tutti i tipi di allergie


ASMA BRONCHIALE ALLERGICO

La definizione medica più recente considera l’asma “una malattia infiammatoria cronica delle vie aeree, nella quale recitano un ruolo patogenetico importante numerose cellule, tra cui mastociti ed eosinofili. In individui sensibili, questa specifica infiammazione delle vie aeree provoca una sindrome caratterizzata, nella maggior parte dei casi, da un’ostruzione variabile diffusa delle vie aeree, spesso reversibile spontaneamente o dopo una mirata terapia. L’ostruzione si associa ad un aumento della responsività delle vie aeree in risposta a molteplici stimoli”. (International Consensus Report on Diagnosis and Threatment of Asthma, 1992).

In sostanza, il soggetto asmatico, durante una crisi asmatica, percepisce una grave mancanza d’aria (dispnea), tosse, secrezione di muco vischioso, edema mucoso e, soprattutto, un’intensa infiammazione della mucosa e della sottomucosa delle vie aeree.

Generalmente, l’asma insorge nell’età infantile (sotto i 4-7 anni) ed è la più diffusa patologia cronica che causa ricoveri ospedalieri infantili. Nel 20-30% dei casi, però, avviene in genere la scomparsa o l’attenuazione dei sintomi all’epoca della pubertà, soprattutto nei maschi. Il 30%, inoltre, negli anni di vita successivi, presenterà un solo episodio asmatico alla settimana.

Secondo numerosi studi, un importante fattore di rischio è la familiarità; il 70% dei bambini asmatici ha genitori o parenti che hanno avuto asma bronchiale o altre malattie allergiche. Non è da sottovalutare, poi, l’asma tardivo che insorge in età adulta, intorno ai 50 anni di età.

Le cause
della malattia riguardano principalmente i fattori etiologici (o scatenanti), tra cui distinguiamo: i fattori primari (flogogeni) che comprendono gli allergeni, le sostanze chimiche occupazionali sensibilizzanti, le infezioni virali, le infezioni batteriche e i gas irritanti (anidride solforosa e ozono). I fattori primari determinano contemporaneamente una contrazione della muscolatura liscia ed un aumento della reattività aspecifica. 
Vi sono poi i fattori secondari (sintomatici) che stimolano esclusivamente la muscolatura liscia, senza aumentare lo stato di reattività. Tra questi troviamo alcune sostanze farmacologiche, come l’istamina, il carbacolo, la metacolina, i b-bloccanti, l’esercizio fisico, l’iperventilazione, l’inalazione di nebbia, l’emozione e il fumo di sigaretta.

Per quanto riguarda gli allergeni, i più frequenti sono sicuramente i pollini (più del 30% dei casi). Tra questi, i responsabili principali dell’asma bronchiale sono le Graminacee e la Parietaria. Molte allergie asmatiche spesso sono provocate anche dagli acari, soprattutto nei bambini. Lo schema qui sotto riporta tutti gli allergeni responsabili della malattia:

ALLERGENE

DESCRIZIONE

Polline
- Erba
- Piante
- Erbe infestanti (es. ambrosia)

-
Causano asma stagionale (maggio-giugno)
Causano asma stagionale (febbraio-marzo)
Causano asma stagionale (agosto-ottobre)

Funghi
- Aspergillus
- Cladosporium Alternaria

-
Causa aspergillosi broncopolmonare allergica
Diffuso a fine estate e autunno. Non è ancora chiaro il suo ruolo di responsabile di asma bronchiale.

Acari
- Dermatofagoide

-
Artropodo a otto zampe che vive nella polvere delle abitazioni.

Desquamazioni cutanee di animali, quali
- Gatti
- Cani
- Uccelli
- Cavalli
- Criceti
- Conigli
- Topi
- Ratti
- Gerhoe
- Porcellini d’India

-
I sintomi allergici variano a seconda dell’animale in causa. Nei soggetti sensibili, però, originano spesso asma bronchiale.

L’asma può anche essere definita “asma professionale”. Molte sostanze presenti sul posto di lavoro, infatti, possono dar luogo a problemi asmatici. Nella tabella seguente sono classificate tutte le sostanze più diffuse:

AGENTI

PROFESSIONE A RISCHIO

Isocianati

Lavoratori a contatto con sostanze plastiche, vernici, colle e inchiostri.

Grano e farina

Panettieri, mugnai, agricoltori, ecc.

Animali da laboratorio

Lavori da laboratorio o a contatto con ratti, topi, porcellini d’India, conigli e locuste.

Resine epossidiche
(per es. anidride ftalica)

Lavoratori a contatto con sostanze plastiche, colle e vernici.

Resina di Colofonia

Lavoratori dell’industria elettronica.

Enzimi proteolitici

Lavoratori a contatto con detersivi e sostanze chimiche.

Sali di platino

Tecnici di laboratorio e lavori a contatto con il platino

Crostacei

Addetti alla lavorazione dei granchi e dei gamberi.

Legno

Lavoratori di vari tipi di legno, compreso il cedro rosso, la quercia, i mogani, l’iroka e il legno di noce.

Farmaci

Lavoratori addetti alla produzione di farmaci, come la cimetidina, la penicillina, le cefalosporine, le tetracicline e i sulfamidici.

“Polvere isapaghula”

Addetti alla preparazione dei lassativi di massa.

Altre sostanze chimiche
(per es. azodicarbonamide)

Personale medico, lavoratori a contatto con la plastica e la gomma, addetti allo sviluppo delle fotografie.

Altri metalli
(nichel, cobalto, ecc.)

Lavoratori dell’industria metallurgica e chi realizza placcature metalliche.

Tinture
(per es. henna)

Parrucchieri.

Enzimi proteolitici

Chi produce i detersivi per lavatrice, la birra, il pane e il cuoio. 

Classificazione dell’asma
la classificazione dell’asma si basa sulla severità della malattia. Questa è valutata con criteri clinici obiettivi, tra i quali è molto importante il rilievo preciso della frequenza degli attacchi acuti, la presenza di sintomi notturni, la valutazione della funzionalità respiratoria misurando i parametri VEMS e CV e monitorando il PEF due volte al giorno. Le variazioni del PEF costituiscono un indice preciso di infiammazione e di ostruzione delle vie aeree e costituiscono un parametro fondamentale per l’inquadramento clinico del paziente asmatico.

GRADO

FREQUENZA DEI SINTOMI

FUNZIONALITÀ RESPIRATORIA

GRAVITÀ

DESCRIZIONE CLINICA

1

Intermittenti

VEMS normale; PEF normale tra gli attacchi

Lieve

Attacchi occasionali, spesso correlati all’esposizione allergica.

2

Persistenti

VEMS e PEF con variabilità >10% tra gli attacchi. Valori < 20-30% tra gli attacchi.
Reversibilità completa dopo broncodilatatore.

Moderata

Attacchi frequenti (2 o più a settimana).Sintomi notturni presenti ma non continuativi.Uso giornaliero di broncodilatatori.

3

Persistenti

VEMS < 40%Variabilità del PEF > 30%.
Reversibilità buona dopo instaurazione di terapia ottimale con antinfiammatori e broncodilatatori.

Grave

Attacchi frequenti.
Sintomi asmatici notturni frequenti.
Limitazione dell’attività fisica.

4

Persistenti

VEMS e PEF stabilmente compromessi nonostante la terapia ottimale

Grave

Attacchi frequenti.
Sintomi asmatici continui.
Importante limitazione dell'attività fisica.
Frequenti ricoveri in ospedale.

International consensus report on diagnosis and management of asthma, NIH Publ.

La diagnosi
attualmente è basata sull’anamnesi, che riveste un ruolo molto importante in tutte le forme di allergopatie. L’anamnesi deve essere indirizzata al rilievo di sintomi quali tosse, dispnea e senso di costrizione toracica, della loro frequenza ed intensità, oltre che all’identificazione di tutte le situazioni che determinano esacerbazioni ed attacchi (esercizio fisico, inalazione di allergeni, ecc.). Nelle allergopatie respiratorie le prove cutanee (Prick-Test) rappresentano il metodo di prima scelta, non solo per la facile applicabilità, l’affidabilità, la rapidità della risposta ed il basso costo economico, ma soprattutto perché tale metodica favorisce un rapporto diretto medico-paziente, utile per un completo esame clinico del soggetto allergico. Le prove cutanee sono controindicate in presenza di affezioni cutanee e di terapia in atto con antistaminici o costicosteroidi. 
Il RAST, con le prove cutanee, rappresenta l’altro esame fondamentale per la diagnosi delle allergopatie respiratorie. Come raccomandato dall’OMS, va però assolutamente evitato l’abuso di tale esame. Esso, infatti, può essere richiesto in modo “mirato” e limitato ad un numero ben definito di allergeni, in base al sospetto clinico e non come indagine “totale”, rivolta cioè ad un ampio pannello di allergeni. Recentemente è stato introdotto un nuovo esame, il Phadiatop, basato sulla tecnologia ImmunoCAP, che consente la determinazione differenziale degli anticorpi IgE specifici per gli allergeni inalati presenti nel sangue. Il Phadiatop è un indicatore di atopia, utile per differenziare la sensibilizzazione verso allergeni inalati da quella verso gli alimenti. In caso di positività è necessario completare le indagini con RAST mirato in base alla storia clinica del paziente. 
Risulta utile anche la determinazione della proteina cationica degli eosinofili (ECP). Si tratta di un nuovo test che consente non solo di valutare l’entità della reazione infiammatoria nel soggetto asmatico, ma anche per meglio monitorare la terapia antiasmatica: i pazienti in cui i livelli di ECP si mantengono elevati, non mostrano alcun miglioramento clinico alla fine del trattamento farmacologico.


RINITE

È una malattia infiammatoria non infettiva della mucosa nasale.
Generalmente è classificata in stagionale e perenne; la prima è causata da allergeni presenti nell’aria, come i pollini dell’aria (a febbraio, ad aprile e a maggio); dai pollini dell’erba (da febbraio a maggio); dai pollini delle erbe selvatiche (luglio e agosto) e dalle muffe (in estate). La rinite perenne, invece, è provocata da allergeni di natura animale, come l’acaro della polvere o i prodotti della desquamazione di animali, sia domestici, sia d’allevamento.

Il quadro clinico
della rinite allergica è caratterizzato da una serie di starnuti, anche 10-20 consecutivi, molto spesso preceduti da una sensazione di bruciore al naso. Altri aspetti della patologia sono la presenza di rinorrea acquosa e ostruzione nasale, che può costringere il soggetto a respirare con la bocca. Sintomi meno frequenti sono il senso di prurito al palato molle, all’orecchio o alla congiuntiva. Nel 30% circa dei casi, la rinite è associata ad altre forme di malattie allergiche, come la pollinosi o l’orticaria.

La diagnosi,
come per l’asma, è basata sull’anamnesi. I principali metodi utilizzati sono i test cutanei (Prick-Test) o quelli sierologici per la ricerca delle IgE specifiche.


LA POLLINOSI

Reazione allergica dell’organismo all’inalazione di pollini. Le manifestazioni cliniche della malattia (bronchiali, nasali e oculari) si presentano con periodicità stagionale, proprio nel periodo della pollinazione. Il periodo è generalmente compreso tra la primavera e l’estate.

Le famiglie erbacee che possono essere responsabili della malattia sono molte, tra le quali le graminacee, le urticacee, le composite, le olacee, le betulacee, le cupressacee, le salicacee e le platanacee. Le allergie possonono riguardare la stessa famiglia di piante o più famiglie diverse (come nel caso dell’allergia alle graminacee e alla parietaria).

Generalmente, la pollinosi si presenta tra i 10-30 anni di età, senza differenze di sesso. Numerose ricerche hanno, inoltre, evidenziato una certa familiarità tra i soggetti con questa malattia allergica, spesso dovuta alla stessa famiglia erbacea.

Il quadro clinico
è rappresentato soprattutto dalla periodicità delle manifestazioni cliniche; queste, infatti, si presentano, di anno in anno, nella stessa settimana e con pochissime variazioni dovute, per lo più, al clima e alla durata delle stagioni primavera-estate. 
La pollinosi viene distinta in tre tipi, in base al periodo d’insorgenza:

Precoce o pre-primaverile,
dovuta principalmente alle piante arboree;

Primaverile o primaverile-estiva,
dovute alle Graminacee, alle Parietaria e alle Olacee;

Estiva-autunnale,
causata soprattutto dalle Composite.

A queste tre forme di pollinosi, vanno aggiunte quelle composite da sensibilizzazioni multiple.

I sintomi
principali della pollinosi sono a carico delle vie nasali (starnuti, anche 10-20 consecutivi, ostruzione nasale, abbondante rinorrea acquosa e prurito nasale), a carico delle vie respiratorie (asma bronchiale, ecc.) e a carico delle congiuntive (prurito agli occhi, lacrimazione e fotofobia, il fastidio verso la luce). Oltre a questi sintomi, la pollinosi può dare astenia, malessere generale, ansia e depressione.

La diagnosi
viene principalmente effettuata attraverso l’anamnesi e i test cutanei e sierologici (per ricercare le IgE specifiche verso gli allergeni dei pollini). A volte si utilizzano anche test di provocazione specifici, tra cui quelli nasali, congiuntivali e bronchiali).

La seguente tabella evidenzia i periodi di fioritura delle principali piante che possono dare allergia in Italia:

ITALIA SETTENTRIONALE

PIANTE

PERIODO DI FIORITURA

Graminacee

Metà aprile - primi d’ottobre

Urticacee

Maggio - metà settembre

Composite

Metà luglio - primi d’ottobre

Olacee

Aprile - primi d’agosto

Betulacee

Fine marzo - metà maggio

Salicacee

Fine febbraio - primi d’aprile

Platanacee

Aprile - metà maggio

Fagacee

Marzo - primi di maggio

ITALIA CENTRALE

PIANTE

PERIODO DI FIORITURA

Graminacee

Fine febbraio - primi d’agosto

Urticacee

Febbraio - ottobre

Composite

Luglio - metà ottobre

Olacee

Metà marzo - metà luglio

Betulacee

Fine febbraio - maggio

Salicacee

Marzo - aprile

Platanacee

Marzo - aprile

Fagacee

Fine marzo - primi di giugno

ITALIA MERIDIONALE

PIANTE

PERIODO DI FIORITURA

Graminacee

Marzo - ottobre

Urticacee

Fine gennaio - metà novembre

Composite

Fine luglio - primi d’ottobre

Olacee

Fine aprile - primi d’agosto

Betulacee

Metà gennaio - primi d’aprile

Salicacee

Metà febbraio - aprile

Platanacee

Metà febbraio - primi di maggio

Fagacee

Fine marzo - metà giugno


SHOCK ANAFILATTICO

È una reazione immunologica generalizzata dall’esposizione a sostanze allergeniche in individui precedentemente sensibilizzati. L’incontro dell’allergene con gli anticorpi IgE fissati su mastociti e basofili determina una liberazione di mediatori (soprattutto istamina), a loro volta responsabili dei sintomi clinici. Il decorso dello shock anafilattico è rapido, potenzialmente letale e può interessare vari organi. Secondo il Council for International Organization of Medical Sciences, il requisito necessario per l’identificazione dello shock anafilattico è “una rapida e significativa caduta della pressione arteriosa”, in stretta associazione con il contatto di un allergene.

A causare lo shock anafilattico, nel 70-80% dei casi, è l’assunzione di determinati farmaci. In questi casi, il soggetto presenta un’ipersensibilità al farmaco in seguito a precedenti somministrazioni o trattamenti protratti. Spesso, lo shock può avvenire con qualsisasi dose o tipo di somministrazione del farmaco, ma i casi più seri si verificano dopo una somministrazione parenterale.

I farmaci maggiormente responsabili sono

Reazioni pseudoallergiche possono aversi anche con determinati mezzi di contrasto diagnostici, di anestetici locali, di emoderivati, ecc.

Il quadro clinico
dell’anafilassi può manifestarsi a distanza di minuti o anche di alcune ore dall’esposizione alla sostanza scatenante, con variazioni che dipendono dal tipo di sostanza, dal suo quantitativo e dalle modalità con cui viene in contatto con l’organismo. I sintomi possono riguardare la cute (prurito, eritema, orticaria e angioedema), le mucose (edema delle mucose del naso e della bocca, che possono spingersi fino alla laringe e all’epiglottide), l’apparato respiratorio (broncospasmi), l’apparato cardiovascolare (caduta della pressione arteriosa e tachicardia), il sistema nervoso (perdita di coscienza, ansia, torpore, scomparsa dei riflessi, paresi, convulsioni, vertigini e talvolta anche coma), l’apparato gastroenterico (vomito, diarrea, dolori addominali, ecc.). Nei casi più gravi sono prevalenti i sintomi a carico degli apparati cardiocircolatorio e nervoso.

Diagnosi
gli esami di laboratorio evidenziano un aumento dell’ematocrito, una diminuzione delle cellule neutrofile e delle piastrine, e un aumento dei valori di glicemia, di azotemia, di creatininemia e di uricemia. Inoltre, in presenza di anafilassi si evidenzia un incremento delle attività enzimatiche, in particolare della transaminasi SGOT o AST e delle creatinfosfochinasi (CPK). 


DERMATITE ATOPICA

La dermatite atopica è una forma di eczema (affezione infiammatoria della cute), tipica del bambino, caratterizzata dalla presenza di prurito intenso e cronico, frequentemente associato ad asma e rinite allergica. La malattia, nel 60% dei casi, colpisce entro il primo anno di vita ed è più frequente nei maschi. Spesso è associata ad un’anamnesi familiare positiva ad altre malattie atopiche e con alti livelli di IgE.

Sebbene non sia stato ancora possibile individuare un singolo fattore scatenante la dermatite atopica, numerosi studi controllati hanno evidenziato un’alta frequenza di associazione tra la malattia e l’allergia alimentare. Secondo molti studiosi, nella maggior parte dei casi la dermatite allergica ha origine da allergeni alimentari, presenti soprattutto nel latte e nell’uovo. Anche altri fattori, però, possono essere la causa di dermatiti atopiche, come i dermatofagoidi (acari) e i miceti (Candida albicans, Pityrosporum orbiculare, il Saccharomices cerevisiae presente nella birra e negli alimenti fermentati).

Il quadro clinico
può essere distinto da fasi acute e fasi croniche. Le prime sono caratterizzate dalla presenza di un’eruzione eritemato-papulo-vescicolosa (espressione della spongiosi epidermica); le fasi croniche sono invece caratterizzate da ispessimento cutaneo, formazione di croste e lichenificazione (espressione dell’ipercheratosi ed acantosi cutanea). 
I sintomi generalmente iniziano al terzo mese di vita e interessano il cuoio capelluto (la crosta lattea) e le guance. Successivamente il processo eczematoso può estendersi ad altre zone cutanee, soprattutto agli arti e ai genitali.

La diagnosi,
per essere certa, dovrebbe rilevare almeno tre requisiti maggiori, che sono:

Aspetti sintomatologici utili alla diagnosi, comunque, sono tutti i seguenti:

Una diagnosi può essere raggiunta anche attraverso test per la ricerca delle IgE specifiche, test di provocazione con alimenti e diete di eliminazione. In genere gli esami di laboratorio mostrano valori elevati di IgE totali e la presenza di autoanticorpi IgG anti IgE. Spesso si rilevano IgE specifiche verso allergeni da inalazione (acari) o alimentari. Quest’ultima sensibilizzazione tende a diminuire con il passare degli anni, mentre la sensibilizzazione agli acari o ai pollini presenta un picco di incremento dopo il terzo anno di età. Circa il 60-80% dei soggetti con dermatite atopica va incontro, anche dopo molti anni, all’insorgenza dell’asma bronchiale e della rinite allergica.


DERMATITE DA CONTATTO

La dermatite da contatto è una reazione infiammatoria della cute determinata dall’azione di agenti chimici esogeni. Rappresenta circa il 10% di tutte le affezioni cutanee, in gran parte di origine professionale.

Secondo una recente indagine del GIRDCA (Gruppo Italiano Ricerca Dermatiti da Contatto e Ambientali), gli elementi che causano le dermatiti da contatto sono i metalli (sali di nickel, cromo, cobalto, …), cosmetici, sostanze chimiche dell’industria (coloranti, acidi, …), additivi della gomma (mercaptobenzitiazolo, …), farmaci per uso topico (anestetici locali, antibiotici, antisettici, FANS, …), alcune sostanze vegetali (resine, legni esotici, …) e sostanze proteiche (pesci, interiora dei mammiferi, …). 

Esistono due tipi principali di dermatite da contatto: quella irritativa e quella allergica. La prima è la più frequente ed è determinata dall’effetto tossico diretto di una sostanza chimica nociva per la pelle; la dermatite allergica, invece, è scatenata dagli eventi cellulari e dalla liberazione di mediatori conseguenti ad una reazione immunologica nei confronti di sostanze chimiche semplici, generalmente innocue. A questi due tipi di dermatiti da contatto principali, però, vanno affiancate la dermatite fototossica e quella fotoallergica, così definite poiché, dopo che il paziente è venuto a contatto con alcune sostanze, solo l’esposizione alla luce solare determina il verificarsi di una reazione irritativa o allergica.

Il quadro clinico,
dapprima, è rappresentato da un eritema localizzato e pruriginoso e da un’eruzione papulosa, che si trasforma poi in vescicolosa e quindi bollosa. La dermatite da contatto può passare attraverso fasi diverse: acuta, subacuta e cronica. L’esposizione ripetuta alle sostanze in causa determina il passaggio alla fase di cronicizzazione, caratterizzata da aree di lichenificazione molto pruriginose. 
Molto spesso, la zona interessata all’allergia può indicare quale allergene è coinvolto. Per esempio, i lobi delle orecchie fanno sospettare ad un’allergia al nickel contenuto negli orecchini. Generalmente, le zone più colpite, oltre al viso e al collo, sono quelle delle dita, del dorso delle mani e delle braccia. Meno frequenti sono le dermatiti nelle regioni palmari, al tronco e agli arti inferiori.

La diagnosi
gli agenti casuali vengono spesso riconosciuti dal paziente o sono identificabili sulla base della storia clinica, ma la diagnosi è possibile solo tramite prove epicutanee (patch test). Questi consistono nell’applicazione sulla cute delle sostanze chimiche più frequentemente in causa (dette sostanze mirate) mediante appositi cerotti imbevuti, lasciati sulla pelle per 24-48 ore. Se, al termine del periodo di prova, compare una lesione eritematovescicolosa in corrispondenza di una o più sostanze, significa che il soggetto è sensibile a tali componenti. Ad ogni modo, solo la correlazione con la storia clinica del paziente e la valutazione delle sue reali possibilità di contatto con la sostanza risultata positiva, permettono di effettuare una diagnosi corretta.

Fonti GIRDCA
Allergeni Comuni

Profumi e Fraganze

Fonti comuni di Nickel

Oggetti (tutti o in parte) di Gomma

Gomme in Ospedale

Comuni Medicamenti Sensibilizzanti


ORTICARIA - ANGIOEDEMA (SOA)

La Sindrome Orticaria/Angioedema (SOA) è un’affezione comune che colpisce, almeno una volta nella vita, il 15-20% della popolazione mondiale.

Si tratta di una condizione che si manifesta con una lesione cutanea transitoria (ponfo), causata da edema dermico (gonfiore della pelle) e accompagnata da prurito, più o meno intenso. L’orticaria può manifestarsi da sola o in associazione ad un edema engioneurotico (angioedema o edema di Quicke). E’ necessario, così, distinguere l’orticaria dall’angioedema:

L’orticaria
è caratterizzata da ponfi bianchi o eritematosi, circondati da zone eritematose ed associati a prurito. I ponfi sono il risultato di un aumento di permeabilità vascolare e di una dilatazione dei piccoli vasi a livello del derma superficiale.

L’angioedema
è diverso dall’orticaria poiché la lesione interessa il derma profondo ed il tessuto sottocutaneo. Clinicamente si manifesta con una tumefazione cutanea, più o meno elevata, senza alterazioni dell’epidermine superficiale, senza alcun prurito, ma associata a dolore o bruciore.

Le cause
della SOA possono essere di forma ereditaria, dovute a carenze dell’inibitore della prima frazione del complemento. Nel 50% dei casi, però, i fattori scatenanti sono di ordine fisico (traumi, interventi chirurgici, estrazioni dentarie, attività fisica, ecc.). Nel 40% dei casi, invece, le cause possono essere associate a problematiche della sfera psichica-affettiva-emotiva.

La SOA può essere di due tipi
acuta o cronica. La forma acuta può essere IgE mediata ed è comune negli individui atopici. Le cause più comuni dell’orticaria acuta sono attribuibili all’assunzione di determinati alimenti (crostacei, latte, uova, frutta, cioccolato, ecc.), di farmaci (come antibiotici e Fans), al contatto con additivi alimentari, a punture d’insetto, a sostanze da contatto, agli allergeni aerei (come pollini) e all’attività fisica. La forma acuta, generalmente, si manifesta con edema locale delle labbra e della bocca. 
L’orticaria, invece, è definita cronica se ha dura più di due settimane; può colpire tutti e a qualsiasi età. Le cause, però, sono raramente identificabili. Tra i fattori scatenanti più comuni, ad ogni modo, troviamo i farmaci, gli alimenti e determinate infezioni (Candida, epatite B, ecc.).

La diagnosi
si basa soprattutto sull’anamnesi, per individuare gli eventuali fattori scatenanti, in particolare se l’orticaria è di tipo acuto. I test di laboratorio servono ad individuare gli additivi, gli alimenti e i farmaci alla base della SOA. I test più utilizzati sono quelli ematologici, batteriologici, virologici, di provocazione e, soprattutto, immunologici. A volte può essere utile anche l’esame istologico.


ALLERGIE ALIMENTARI

Le allergie alimentari rappresentano un problema molto diffuso tra la popolazione. E’ necessario, pertanto, rendere ben chiara la corretta definizione di allergia alimentare che può essere distinta in tre tipi diversi:

Le cause
sono generalmente attribuibili ad agenti farmacologici, deficit enzimatici o a additivi e tossine. Generalmente le allergie alimentari non sono di natura immunologica. 
Più precisamente, tra i fattori responsabili di allergie alimentari troviamo:

Gli alimenti,
tra i quali i più diffusi sono il latte vaccino, le uova, i crostacei, i molluschi, alcuni vegetali (soprattutto quelli che appartengono alla famiglia delle Rosacee e delle Umbrellifere), il caffè, l’alcool, i salicilati, la tiramina (presente in molti formaggi fermentati), l’istamina (presente negli insaccati, nelle fragole, nei crostacei, nell’ananas, in molti cibi in scatola, ecc.) e le feniletilamine (presente nel formaggio, nel cioccolato, nei crauti, nel vino, ecc.).

Gli additivi,
tra i quali la tartrazina (un colorante giallo che può causare ipersensibilità non IgE-mediata), il sodio glutammato (nella salsa di soia e nei dadi per fare il brodo), i nitrati e i nitriti (elementi utilizzati per conservare le carni cotte), gli agenti solforati (conservanti presenti nel vino, nel succo di frutta, nelle salsiccie, nella frutta e nella verdura), l’acido benzoico e i benzioati (conservante antibatterico e antimicotico utilizzato per la conservazione di numerosi alimenti, tra cui le marmellate, le salse, gli yogurt, i succhi di frutta, la birra, i sottaceti, i gamberi, le caramelle, la salsa di soia, ecc.).

Le sostanze “E”,
ovvero gli additivi consentiti dalla legislazione europea, che devono essere indicati sul cibo confezionato. Quelli considerati innocui sono, per l’appunto, contraddistinti dal prefisso E. Chi è sensibile, però, può reagire in modo anomalo al loro contatto. Le categorie di questi additivi “E” sono: i coloranti, i conservanti, gli antiossidanti, gli emulsionanti, gli stabilizzatori, le sostanze che esaltano il sapore, i dolcificanti, i solventi, gli sbiancanti e gli idrocarburi minerali.

Dal punto di vista clinico,
la reazione allergica alimentare IgE-mediata si manifesta con un edema alle labbra e un’infiammazione del cavo orale, entrambi spesso associati ad un edema della glottide (sindrome allergica orale). Generalmente, si hanno anche dolori addominali, vomito e diarrea. Sulla cute, inoltre, può svilupparsi una dermatite atopica o una sindrome orticaria angioedematosa. Anche l’apparato respiratorio può essere coinvolto, sviluppando rinite o asma bronchiale. A volte possono instaurarsi anche malattie sistemiche, fino ad arrivare allo shock allergico. La sindrome allergica non IgE-mediata, invece, si osserva soprattutto nell’infanzia; spesso scompare con il passare del tempo. I sintomi, spesso cronici, riguardano l’apparato gastroenterico (diarrea modesta e intermittente, malassorbimento). Possono, inoltre, manifestarsi malattie cutanee diverse, come l’aggravamento di dermatiti da contatto dopo l’assunzione di pesce o di determinati vegetali.

La diagnosi
si basa essenzialmente sull’anamnesi completa, con esame obiettivo, test cutanei (RAST e/o prick test con inserimento della lancetta direttamente nell’alimento) e test di laboratorio. Questo, a causa della vasta gamma di sintomi che un soggetto allergico al cibo può manifestare. L’analisi in vitro può sostituire i test cutanei, ma solo nel caso in cui questi ultimi non possono essere eseguiti (se, ad esempio, è in corso una terapia antistaminica oppure è presente un eczema diffuso). Per confermare qualsiasi tipo di test diagnostico, comunque, è utile stabilire diete di eliminazione, abolendo l’alimento ritenuto responsabile della reazione allergica. Naturalmente, dalla dieta verranno eliminati proprio quei cibi che sono risultati positivi al prick test e/o al RAST, oltre agli alimenti sospettati di reazioni avverse in base all’anamnesi. Spesso, inoltre, è necessario verificare la diagnosi con test di provocazione orale in doppio cieco controllato con placebo, che generalmente risulta positivo in circa il 50% dei pazienti sospettati di avere un’allergia alimentare.


ALLERGIE E IPERSENSIBILITÀ AI FARMACI

Le allergie ai farmaci sono rappresentate dagli effetti indesiderati prodotti da sostanze impiegate per la prevenzione, la diagnosi e la terapia. Queste patologie, generalmente, si definiscono ADR (Adverse Drug Reactions). Possono essere distinte in due diversi tipi:

Le reazioni di tipo A,
dovute solo ad effetti anormali dal punto di vista quantitativo. Rientrano, in questo caso, gli effetti secondari, ben noti, dei vari farmaci e le interazioni farmacologiche. Generalmente sono reazioni di modeste gravità.

Le reazioni di tipo B,
possono essere dovute ad effetti anormali dal punto di vista della qualità. Generalmente sono poco frequenti, ma possono originare manifestazioni cliniche molto gravi, anche mortali. Le reazioni di tipo B, a loro volta, possono essere distinte in reazioni a sviluppo immunologico e reazioni a sviluppo extraimmunologico. Le prime comprendono le reazioni IgE-mediate (shock anafilattico, orticaria, certe forme di asma, ecc.), le reazioni citolitiche o citotossiche (anemie emolitiche, trombocitopenie, ecc.), le reazioni da immunocomplessi (malattia da siero, vasculiti da ipersensibilità, ecc.) e le reazioni cellulo-mediate (dermatiti da contatto, ecc.). Le extraimmunologiche, invece, possono essere di due tipi diversi: le reazioni pseudoallergiche (dovute all’attivazione non specifica, come l’asma da acido acetilsalicilico) e le reazioni idiosincrasiche (dovute alla grande suscettibilità dell’organo bersaglio, come nell’anemia emolitica da deficit eritrocitario).

Le cause
riguardano, generalmente, le seguenti classi di farmaci:

Oltre ai veri e propri farmaci, possono causare una reazione allergica anche le sostanze utilizzate a scopo diagnostico, come i mezzi di contrasto iodati.

Il quadro clinico
della malattia può essere estremamente vario. Inanzitutto, le reazioni allergiche ai farmaci possono manifestarsi immediatamente (entro pochi minuti dalla somministrazione della sostanza, come lo shock allergico o l’asma) o, al contrario, possono essere tardive (a distanza di qualche giorno dalla somministrazione, come le eruzioni esantematiche). 
La manifestazione sistemica più grave è, generalmente, lo shock anafilattico. Le sindromi cutanee costituiscono, invece, le manifestazioni più frequenti di ipersensibilità da farmaci. Molto diffusa è anche l’insorgenza dell’orticaria-angioedema, indotta generalmente dall’assunzione di acido acetilsalicilico o dai FANS.

La diagnosi,
tramite un’anamnesi approfondita, deve accertare il tempo trascorso dall’assunzione del farmaco alla comparsa delle manifestazioni cliniche. Per confermare i risultati occorre effettuare i test diagnostici specifici, in vivo e in vitro, ovvero:


LA CONGIUNTIVITE ALLERGICA

La congiuntivite allergica è un’infiammazione della congiuntiva oculare e delle palpebre, che provoca bruciore, prurito e iperemia.

I fattori che causano l’allergia
possono essere di forma stagionale, come gli allergeni presenti nell’aria (pollini, erba, ecc.), o di forma perenne (soprattutto l’acaro della polvere di casa e i prodotti derivanti dalla desquamazione animale).

I sintomi
più frequenti sono il prurito agli occhi, la fotofobia e la formazione di edema sotto le palpebre. Si può formare, inoltre, una iperemia (arrossamento eccessivo) della congiuntiva e un lieve edema alle palpebre. La congiuntivite allergica, in genere, è associata ai sintomi della rinite allergica o della pollinosi. Esiste, poi, una congiuntivite “primaverile” che si manifesta da marzo ad agosto; questa colpisce soprattutto i soggetti molto giovani e di sesso maschile.

La diagnosi
si basa sui test di laboratorio, soprattutto il prick test e la ricerca delle IgE specifiche nel liquido lacrimale. Utili sono anche i test di provocazione congiuntivale. 
Per la diagnosi differenziale, è necessario escludere la dermatite da contatto, la congiuntivite causata da sostanze irritanti tossiche, la presenza di un corpo estraneo nella palpebra e un’infezione da Clamidia.


ALLERGIA AI VELENI DI IMENOTTERI

Le reazioni allergiche da veleno di imenotteri rappresentano un problema medico non trascurabile; questo a causa dell’alta mortalità che da essa deriva: negli Stati Uniti, ad esempio, ogni anno muoiono 50 persone per l’allergia ai veleni di imenotteri. La mortalità sembra essere dovuta principalmente all’ostruzione delle alte vie respiratorie (edema laringeo) e allo shock anafilattico. Le specie di imenotteri che provocano allergie in Italia sono esclusivamente l’ape (apis mellifera), la vespa (Polistes) e il calabrone (Vespa crabro). Nei veleni di questi imenotteri sono presenti delle sostanze, come la fosfolipasi A1, A2 e B, la ialuronidasi, al melittina, ecc., che possono sensibilizzare dei soggetti particolarmente esposti.

I sintomi
sono rappresentati da una modesta reazione locale eritematosa o con ponfo, pruriginosa e spesso dolorosa, che tende a regredire spontaneamente in poche ore. In alcuni soggetti, si verifica una reazione locale estesa (ad esempio, tutto il braccio per una puntura sulla mano), che richiede una terapia sintomatica. 
Le reazioni allergiche IgE-mediate prodotte dal veleno di imenotteri sono state classificate in quattro stadi: dal primo, in cui si ha un’orticaria generalizzata, del prurito e un malessere generale, fino al quarto, in cui si arriva allo shock anafilattico.

La diagnosi
di allergia al veleno di imenotteri si basa su una accurata anamnesi e sull’esecuzione di test volti a rilevare la presenza di IgE specifiche per il veleno (cutireazioni, CAP System). L’anamnesi deve poter evidenziare il tipo di imenottero responsabile della reazione e il quadro clinico presentato dal paziente. Il soggetto, pertanto, deve essere sottoposto a test cutanei e, in caso di negatività, a test intradermici. A questi vanno, poi, aggiunti i test sierologici in vitro, anche se sono meno sensibili dei precedenti. 
Le reazioni cutanee devono essere eseguite utilizzando i veleni degli imenotteri, con mezzi che prevedono il prick test e, se questo risulta negativo, anche le reazioni intradermiche.


ALLERGIE DA INFEZIONI

Tra i fattori in grado di sviluppare allergie, vi sono anche determinati processi infettivi. Questi, infatti, possono favorire la comparsa di un’ipersensibilità. Le infezioni delle vie respiratorie, com’è noto, possono facilitare la comparsa di allergie a carico dell’apparato respiratorio (come riniti, sindromi bronco-asmatiche, ecc.). I virus che, maggiormente, sembrano poter dare allergie sono: i rhinovirus, i virus parainfluenzali, i virus respiratorio sinciziali, i coronavirus, i citomegalovirus e gli adenovirus. Non è ancora chiaro, però, come possano certe infezioni a provocare delle sensibilizzazioni in certi soggetti. Molti sostengono che il danno infiammatorio ai tessuti, dovuto alle malattie virali respiratorie, favorisce la penetrazione dell’allergene stesso e gli elementi del sistema immunitario. Altri ritengono che le infezioni possano sviluppare una depressione dei linfociti T soppressori IgE-specifici, un’aumentata produzione di interferone o un blocco beta-adrenergico. 

Anche alcune infezioni del cavo orale (come le tonsilliti, le gengiviti, ecc.) sembrano essere in grado di condizionare l’insorgenza e il processo d’esacerbazione di una manifestazione allergica. Notevole importanza, inoltre, va data alle infezioni intestinali; i vari agenti infettanti, infatti, possono condizionare la comparsa di manifestazioni allergiche, come l’orticaria-angioedema da allergeni alimentari. La loro eliminazione, a volte, può portare alla completa scomparsa della sintomatologia.

 

Epidemiologia

Le malattie allergiche sono molto diffuse, ma l’impatto epidemiologico varia a seconda del tipo di reazione allergica. Vediamo da vicino ogni singola allergia:


ASMA

Secondo recenti stime, in Italia, come nel resto d’Europa, l’incidenza della malattia è del 4-5% della popolazione totale. Prevalenze più alte si trovano negli Stati Uniti (circa il 7%) e in Australi a e Nuova Zelanda (11-14%). Le percentuali più elevate si riscontrano in alcune isole oceaniche, come le Caroline Occidentali (oltre il 30% della popolazione è affetto dall’asma di tipo allergico).


RINITE

Nei Paesi occidentali colpisce circa il 6-10% della popolazione totale. La rinite stagionale colpisce soprattutto i bambini che, a due-tre anni, possono già manifestare l’allergia da acari.


POLLINOSI

Non è ancora stato stabilito di preciso, ma sembra che in Italia la pollinosi colpisca più del 5% della popolazione (più di due milioni di persone). La pollinosi, inoltre, sembra più diffusa tra i soggetti che abitano nelle aree urbane, rispetto a quelli che vivono nelle zone agricole.


DERMATITE ATOPICA

L’incidenza, in età pediatrica, varia a seconda degli autori, dall’1% al 10%. Generalmente la malattia esordisce nei primi 12 mesi di vita, anche se nel 50% dei casi può manifestarsi entro i primi 6 mesi di vita. Solo nel 5% dei casi la dermatite atopica persiste anche nell’età adulta. Numerosi studi hanno evidenziato un’elevata associazione tra la dermatite atopica e le allergie alimentari.


DERMATITE DA CONTATTO

Colpisce circa l’1-2% della popolazione.


ORTICARIA-ANGIOEDEMA

Colpisce circa il 15-20% della popolazione. Le forme acquisite, rispetto a quelle di natura ereditaria, sono decisamente più diffuse. Si manifestano soprattutto nelle persone di sesso femminile (rapporto 2:1) e compaiono tra i 30 e i 40 anni d’età. Sono molto rare nell’infanzia e nell’età avanzata. Per quanto riguarda le forme ereditarie, l’incidenza è di 1 caso ogni 100.000 soggetti.


ALLERGIE ALIMENTARI

Non è possibile stabilire di preciso quanti soggetti soffrano di questo tipo di allergia, ma approssimativamente sembra che colpisca tra lo 0,1% e il 7% della popolazione. Tra i neonati, l’allergia al latte vaccino colpisce circa l’1-3% dei soggetti, con una grande prevalenza dei casi di natura ereditaria.


ALLERGIE AI FARMACI

È stato calcolato che le allergie ai farmaci colpiscono il 2-5% della popolazione italiana. Va sottolineato, però, che queste patologie rappresentano il 3-5% di tutte le cause di ricovero ospedaliero. Generalmente, sono più a rischio le persone di sesso femminile, mentre l’età d’insorgenza è compresa tra i 20 e i 50 anni d’età. Sono rari i casi di allergie ai farmaci tra i bambini e gli anziani. Sono diffuse, al contrario, tra i soggetti con immunodeficienze (AIDS, trapianti d’organo, ecc.).


ALLERGIE AI VELENI DI IMENOTTERI

In Europa e negli Stati Uniti colpiscono circa lo 0,8% della popolazione. Le percentuali di mortalità, però, sono molto elevate. Ogni anno i giornali riportano casi di soggetti deceduti a causa di punture d’insetti o per l’inoculazione di altri veleni animali. Ogni anno in Francia si rilevano 12 decessi per il veleno di imenotteri, mentre in Olanda il numero di morti a causa della malattia è di due casi all’anno.

 

Allergie e bambini

Le allergie che insorgono già dai primi anni di vita sono molto numerose. Nelle prime fasi della vita si evidenziano i primi segni d’insorgenza di allergie, quali l’asma, la rinite, la dermatite e l’allergia alimentare. L’età pediatrica, infatti, è caratterizzata dall’immaturità del sistema immunitario. Questo rende il bambino particolarmente suscettibile non solo alle malattie infettive, ma anche alle manifestazioni allergiche.

Le principali allergie pediatriche sono le allergie agli inalanti. Queste sono rappresentate dalla sensibilizzazione ai pollini, agli acari, alle muffe o alle forfore di animali.

Per quanto riguarda l’asma, la diagnosi nei bambini in età pediatrica è molto difficile. Fino ai 6 anni d’età, infatti, il bambino non è quasi mai in grado di eseguire le prove di funzionalità polmonare. E’ importante, così, eseguire correttamente l’anamnesi e l’esame obiettivo. Il respiro affannoso, accompagnato da un gemito espiratorio, è quasi sempre rivelatore della presenza di asma. 
Per quanto riguarda le prove in vitro, la presenza di un alto tasso di IgE alla nascita indica un alto rischio di sviluppare l’asma. Il 93% dei bambini asmatici, inoltre, dopo i 5 anni d’età, possono presentare prick test positivi.

Le allergie alimentari colpiscono soprattutto nei primi anni di vita. Questi disturbi interessano per lo più l’apparato gastrointestinale e sono causa di malassorbimento. 
La tipica manifestazione di allergia alimentare pediatrica è la dermatite atopica, che nel 60% dei casi, però, guarisce spontaneamente entro i primi 5-7 anni di vita. Persiste, al contrario, oltre i 10 anni solo nel 10% dei casi.

 

La diagnosi

In genere, la diagnosi all’inizio si basa sulla presenza di sintomi descritti dal paziente. Successivamente, si praticano prove e test per individuare la sostanza che il sistema immunitario considera nociva. Vediamo, così, tutte le prove diagnostiche disponibili, a partire dall’anamnesi:


L’ABAMNESI (esame obiettivo)

Cioè la raccolta e l’interpretazione dei dati emersi dal colloquio con il paziente. Costituisce la premessa per qualsiasi diagnosi. I dati rischiesti dal medico, riguardano:

l’anamnesi familiare
molte allergie sono di origine ereditaria;

l’anamnesi fisiologica
molto importanti sono le notizie sulle abitudini alimentari, l’uso di farmaci, le abitudini di vità, l’attività lavorativa, ecc.

l’anamnesi patologica remota
soprattutto la natura e la frequenza delle infezioni dell’apparato respiratorio, se sono sospette manifestazioni allergiche delle vie respiratorie, la presenza di affezioni all’apparato digerente ed eventuali lesioni cutanee

l’anamnesi patologica prossima
i dati completi sull’allergia in atto, tra cui l’epoca di insorgenza, la descrizione del primo episodio clinico, la periodicità degli eventi, ecc.

Il paziente, inoltre, dovrà riferire al medico se ha precedentemente effettuato accertamenti diagnostici, oltre, naturalmente, a precedenti terapie.


INDAGINI DI LABORATORIO

Possono fornire elementi significativi ai fini della diagnosi differenziale con altre diverse affezioni. Il maggiore indicatore è sicuramente la voce “eosinofilia”. Un elevato valore di quest’ultima, infatti, è un fatto frequente, però non costante e, soprattutto, non obbligatorio. Per elevati valori di eosinofilia si intendono livelli sopra le 400 unità/mmc di sangue.


TEST DIAGNOSTICI SPECIFICI

Nella maggior parte dei casi, le prove diagnostiche specifiche sono in grado di rilevare la causa della manifestazione allergica. Possono distinguersi test in vivo e test in vitro.

Test in vivo
comprendono i test cutanei diretti (per puntura, per scarificazione, intradermici ed epicutanei), i test cutanei indiretti (trasporto passivo locale), i test mucosi, i test di eliminazione (o di sospensione) e i test di provocazione (o di scatenamento).

Test in vitro
riguardano la ricerca delle IgE e di IgG specifiche (con metodi radioimmunologici, immunoenzimatici, ecc.), i test di releasability dei mediatori (dosaggio dell’istamina e di altri mediatori liberati dai basofili, ecc.) e la ricerca di anticorpi precipitanti o emoagglutinanti.

Ogni singolo caso, però, necessita dell’individuazione del test diagnostico più opportuno. Infatti, non è stata ancora messa a punto una prova diagnostica specifica e valida per tutte le forme allergiche. La scelta del tipo di indagine, pertanto, deve essere fatta in base alla manifestazione clinica del soggetto, al tipo di immunoreazione che si presume possa esserne la causa, alle presunte modalità di sensibilizzazione dell’allergene (da contatto, da inalazione, ecc.) e alla natura dell’allergene.

Il test ideale dovrebbe risultare con una sensibilità e una specificità del 100%, ma è un risultato impossibile da realizzarsi. 
Vediamo vari tipi di test disponibili per la diagnosi delle allergie:


TEST CUTANEI

Questi sono i test più conosciuti e i più frequentemente adottati. Essi sono:

Prick-test
che rappresenta il test più diffuso. Consiste nell’applicare una goccia di estratto allergenico sulla cute, generalmente nella parte interna dell’avambraccio, e negli strati superficiali della pelle tramite la punta di una lancetta sterile. I prick test si possono eseguire su due file parallele per ogni braccio, ad una distanza di circa 3 cm tra una goccia e l’altra. Per le allergie alimentari può essere utile eseguire test cutanei anche con alcuni alimenti freschi, utilizzando la tecnica del prick+prick: si inserisce, cioè, prima la lancetta nell’alimento da testare e si procede, poi, con la normale tecnica sopra descritta.

Test intradermico
che consiste nel prelevare piccole quantità di estratto allergenico (0,02-0,03 ml) da iniettare nel paziente tramite “siringhe a perdere” (tipo tubercolina). L’ago viene inserito quasi parallelamente alla superficie cutanea. Possono effettuarsi fino a 20 test per seduta, ma, anche in questo caso, la distanza minima tra un’iniezione e l’altra deve essere di almeno 3 cm, per evitare eventuali reazioni positive multiple. 
Le reazioni possono essere di tipo immediato o tardivo. Le prime sono rappresentate generalmente da ponfi e orticaria, che si manifestano entro 15-30 minuti dall’esecuzione del test. Questo a causa della degranulazione mastocitaria locale, con liberazione di istamina e di altri mediatori. La valutazione va da 0 (minima risposta allergica) a 5 (massima risposta allergica). Le reazioni tardive, invece, insorgono generalmente dopo 3-5 ore dall’esecuzione del test, raggiungendo l’acme dopo 6-12 ore. Sono caratterizzate da una reazione edematosa locale, sostenuta da cellule infiammatorie (linfociti, neutrofili, eosinofili, ecc.). Spesso queste reazioni tardive non vengono considerate ai fini diagnostici.

Test epicutanei - Patch test
molto utilizzati per le dermatiti da contatto, poiché riproducono la modalità di sensibilizzazione. Questi test vanno eseguiti solo per un numero ristretto di prove; è necessario, pertanto, circoscrivere le sostanze sospette in base alle analisi della sede e della modalità di insorgenza, tenendo conto anche dell’attività lavorativa che svolge il paziente e degli eventuali precedenti problemi allergici. Per questi test si utilizza sempre una serie preordinata di allergeni, quelli più comunemente responsabili di allergie. La pomata (o la soluzione) contenente l’allergene viene messa su disco di cellulosa di 1 cm di diametro, che viene posto al centro di una sottile lamina di alluminio da applicare sulla cute del dorso con un cerotto di polietilene, di carta o di seta. Il cerotto può essere anche poroso, su cui sono inserite delle “cellette” quadrate di circa 1 cm per lato, in polipropilene, con l’interno in carta da filtro Whatman. 
I patch-test in commercio sono numerosi, calibrati su varie sostanze allergeniche e in grado di rilevare la maggior parte delle sostanze sensibilizzanti per le dermatiti da contatto. 
I risultati del test appaiono dopo 24-48 ore e spesso anche oltre i due giorni. Le reazioni si manifestano sotto forma di eczemi e vescicole, associati a edema (gonfiore), papule, ecc. L’intensità della reazione è misurata con una valutazione da 0 a 5 punti (0 = minima risposta allergica; 5 = massima risposta allergica). Altri metodi di valutazione degli esiti del patch-test sono: l’evaporimetria, la laser-Doppler-flussimetria e la cromometria.


TEST IN VITRO

Questi tipi di test hanno sicuramente segnato un notevole progresso nella diagnosi delle allergie IgE-mediate. La concentrazione nel sangue delle IgE varia, nei soggetti adulti non atopici, da 10 a 200 kU/1, con ampie oscillazioni. La tecnica per la determinazione di IgE totali con metodi radioimmunologici (come il Paper RadioImmunoSorbent Test – PRIST), consiste nell’incubare insieme anticorpi IgE e IgE del campione da esaminare. Si forma così un disco composto da entrambi gli anticorpi, ai quali si aggiungono successivamente anticorpi purificati marcati con isotopi radioattivi. In questo modo si formano dischi con un complesso di anticorpi IgE – anti-IgE – anti-IgE marcati. A questo punto la radioattività può essere direttamente misurata: più è elevata, maggiore sarà il titolo del campione di IgE in esame. Va sottolineato, però, che un riscontro di valori normali non esclude affatto la diagnosi di allergopatia. Le IgE totali, inoltre, aumentano in condizioni di patologie in atto (come le parassitose intestinali o le connettiviti) e in condizioni fisiologiche (come nei fumatori). Oggi, pertanto, si ritiene che la determinazione delle IgE totali rivesta scarso significato clinico nelle allergopatie. Ad ogni modo, riportiamo qui sotto i valori normali delle IgE totali nelle diverse età della vita:

ETÀ

VALORI DI IGE (Ku/1)

Neonati

0,5 - 2

Da 1 mese a 1 anno

< 20

Da 1 anno a 5 anni

< 70

Da 5 anni a 10 anni

< 100

Da 10 anni a 12 anni

< 200

Da 12 anni a 19 anni

< 150

Da 19 anni in poi

< 200

Per la ricerca delle IgE specifiche (IgEs) sono stati predisposti numerosi test immunologici basati sull’utilizzo di differenti metodi ed immunoreagenti; questi permettono la ricerca delle IgE verso uno o più allergeni. In pratica, le metodiche sono due: quelle basate sulla marcatura di anti-IgE, con impieghi di sistemi antigene-fase solida (metodi sandwich: RAST, ELISA, ecc.); e le metodiche basate sulla marcatura dell’allergene, per rilevare le IgE specifiche legate ad un anti-IgE su fase solida (antigen binding assays: PTRIA; radioimmunodiffusione, ecc.). Attualmente i metodi più utilizzati sono quelli basati sulla marcatura degli anti-IgE, sia con tecniche radioimmunologiche, sia con mezzi immunoenzimatici.

Altro tipo di test in vitro è il RAST (RadioAllergoSorbent Test). Esso consiste nel porre il sangue del paziente in esame a contatto con un allergene. Se il siero contiene IgE specifiche verso quel determinato allergene, esse si legano all’allergene stesso. Dopo il lavaggio, vengono aggiunti anticorpi anti-IgE marcati con isotopo radioattivo, che si fissano alle IgE specifiche eventualmente presenti, a loro volta fissate all’allergene. La radioattività del complesso così formato viene poi analizzata con un gamma counter. Più la radioattività è elevata, maggiore è la quantità di IgE specifiche presenti nel campione di sangue in esame. Si stabiliscono, così, classi di positività, da 0 a 4 punti: da 4 a 2 la classe è positiva, la classe 1 è da considerarsi dubbia, mentre la classe 0 indica che non vi sono anticorpi specifici per quell’allergene.

Altri test in vitro sono i test di screening: in un’unica miscela sono raggruppati i più comuni allergeni, in modo da effettuare, con sufficiente attendibilità, una diagnosi di allergia. Sono attualmente disponibili test con 6,8 o più allergeni, per un sistema di screening rapido, la cui lettura è fatta attraverso il computer. Inoltre, sono state messe a punto delle miscele allergeniche mirate, che consentono di effettuare una diagnosi in vitro, almeno come test di screening. Alcune di queste miscele, in particolare quelle per i pollini, sono state preparate appositamente per l’Italia. 

Oltre a questi test di screening, sono stati messi a punto anche sistemi automatici e semiautomatici per la determinazione delle IgE specifiche, in grado di dosare anche le IgE totali. Le fasi di indagine sono completamente gestite da un computer. 
Per quanto riguarda la ricerca delle IgG specifiche, sono state rilevate due attività funzionali nei confronti degli allergeni specifici: la prima è di carattere sensibilizzante (IgG-STS), la seconda è di carattere bloccante. L’allergia più interessata a questo tipo di indagine è l’ipersensibilità al veleno di imenotteri. Livelli ematici significativi di IgG, infatti, possono essere rilevati in apicoltori e in soggetti dopo aver subito punture accidentali, indipendentemente dall’insorgenza di manifestazioni cliniche di rilievo. La formazione di IgG specifiche verso comuni allergeni da inalazione (come gli acari), nella maggior parte dei bambini, avvengono già nei primi 12 mesi di vita.

In generale, i vantaggi dei test in vitro sono così sintetizzati:

Unico svantaggio: il costo è relativamente elevato.


TEST DI ELIMINAZIONE

Utilizzati soprattutto per le allergie alimentari. Per individuare l’allergene, il test deve durare necessariamente più di due settimane, seguendo precisi schemi dietetici. Per poter disporre di un risultato obiettivo, è necessario far poi seguire al paziente due settimane di dieta libera.

Le diete oligoallergiche
sono costituite da alimenti che, molto raramente, danno luogo a sensibilizzazione di tipo allergico (riso, carne d’agnello, ecc.). I pazienti seguono queste diete nei casi in cui si sospetti un’allergia alimentare, ma non è possibile identificare il singolo allergene. Le diete, pertanto, possono essere mirate (se si eliminano gli alimenti maggiormente sospettati), o elementari (per i soggetti a sospetta sensibilità multipla). Le diete oligoallergiche vanno seguite per un periodo di tempo relativamente breve (da 2 a 4 settimane). I test di eliminazione possono essere utili anche nel caso di sospetta allergia da farmaci (sospendendo l’utilizzo del medicinale) e nel caso di allergie da inalazione (allontanandosi dal posto di lavoro, dal contatto con animali domestici, dall’uso di camere con aria filtrata, ecc.)

Diete oligoallergiche di McEwen

DIETA A

DIETA B

- Pane, pasta, semolino
- Olio di mais
- Carne di manzo
- Alcuni vegetali (spinaci, carote)
- Alcuni tipi di frutta (mele sbucciate, ananas fresco)
- Camomilla
- Zucchero di canna cristallizzato
- Sale

- Carne di tacchino
- Olio extravergine d’oliva
- Alcuni tipi di verdure (insalata verde, finocchi)
- Alcuni tipi di frutta (pere sbucciate)
- Tè
- Zucchero di canna cristallizzato
- Sale

N.B. Dopo 3 settimane di “Dieta A”, qualora non si osservi alcun miglioramento clinico, si deve passare alla “Dieta B” per altre 3 settimane. Il passaggio alla “Dieta B” può avvenire anche prima, se si evidenzia un peggioramento della sintomatologia in seguito alla “Dieta A”.


TEST DI PROVOCAZIONE

Utilizzati soprattutto per verificare una diagnosi di allergia. Questi test, pertanto, possono essere richiesti per convalidare altre metodiche o nei casi in cui altri test abbiano dato esiti negativi. E’ necessario, così, aver precedentemente circoscritto gli allergeni sospetti.

Test di provocazione bronchiale
per eseguirlo è necessario che il paziente sia in condizioni respiratorie discrete e non sotto gli effetti di farmaci, come broncodilatatori, stabilizzanti di membrana e glicocorticoidi. Il test, in pratica, consiste nel registrare le variazioni di un indice di funzionalità respiratoria (il FEV1), di facile rilevazione. Ciò si effettua, inanzitutto, con la determinazione basale del parametro prescelto di funzionalità respiratoria; successivamente si esegue il test con una soluzione di controllo, senza alcuna attività allergizzante, facendolo seguire da quella con gli allergeni. Dopo 10 minuti, si fanno eseguire al paziente 10 inalazioni a concentrazione sempre più elevata di estratto allergenico. Ogni 10-15 minuti nella prima ora, si misura il FEV1 o un altro parametro funzionale prescelto. Nelle otto ore successive, si misurano i livelli ogni 60 minuti. Il test viene considerato positivo quando vi è una riduzione del parametro basale di oltre il 20%.

Test di provocazione nasale
simile, come impostazione, al test di provocazione bronchiale. Il paziente viene esposto a concentrazioni crescenti di allergene per via nasale (gocce, inalazioni, ecc.). La valutazione clinica è basata su sintomi come starnuti, rinorrea e intensità soggettiva del prurito. La valutazione obiettiva è attuabile mediante rinoreomanometria, con valutazioni dopo 2, 5, 10 e 20 minuti, considerando positivo il test quando il valore medio delle resistenze aumenta di oltre il 500%, rispetto ai valori basali precedentemente rilevati. Se la reazione è immediata, si manifesta entro pochi minuti. In molti soggetti la risposta è composta da due fasi: dopo quella iniziale, si verifica una seconda fase dopo 6-9 ore.

Test di provocazione congiuntivale
si esegue tramite l’immissione di 1-2 gocce di estratto allergenico nel sacco giuntivale di un occhio, utilizzando l’altro come controllo. La valutazione clinica si effettua attraverso un punteggio riferito alla presenza e 0intensità dei sintomi, quali: iperemia, lacrimazione, prurito soggettivo. La reazione positiva, generalmente, si verifica entro 5-10 minuti.