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Università di Cagliari
Allergologia ed Immunologia Clinica
Prof.Paolo Emilio Manconi
gennaio 2000
IMMUNOMODULAZIONE
(con la collaborazione del dott. Francesco Ortu)
Da un punto di vista teorico, esiste la possibilità di una modulazione in senso positivo o negativo della funzione immunitaria (Fig.1). Da un punto di vista pratico è però più facile determinare un’immunosoppressione piuttosto che una modulazione in senso positivo.
Molti dei composti utilizzati come immunostimolanti si sono rivelati utili nei deficit selettivi di determinate funzioni piuttosto che come "immunomodulanti " globali.
Tra gli immunosoppressori esistono differenti classi di composti dei quali si sfruttano delle specifiche funzioni regolatorie (ad es. la Ciclosporina A) o delle capacità citopenizzanti (ad es. gli alchilanti) o ancora delle capacità anti-infiammatorie (ad es. gli steroidi).
Accanto a questi farmaci "classici" esistono una serie di composti di più recente introduzione per specifiche patologie come gli anti-leucotrienici nella flogosi allergica e gli anticorpi monoclonali nel rigetto da trapianto o in alcuni tipi di linfomi.
I corticosteroidi (Fig.2)
Tra i farmaci "immunomodulanti", i cortisonici rivestono un ruolo di primaria importanza.
Hanno la capacità di sopprimere lo sviluppo delle manifestazioni dell’infiammazione qualunque sia la causa che l'ha generata.
Nonostante che il loro uso sia esclusivamente palliativo, la possibilità di sopprimere tutti i fenomeni infiammatori ha reso questi agenti assai utili nella pratica clinica, ed in alcuni casi possono essere considerati dei farmaci salvavita.
Le azioni anti-infiammatorie ed immunosoppressive sono intimamente legate tra loro e caratteristicamente dose-dipendenti.
La loro azione come agenti anti-infiammatori si attua non solo sulla fase precoce (edema, vasodilatazione, chemiotassi etc) ma anche nelle manifestazioni tardive (proliferazione di capillari, fibroblasti e cicatrizzazione).
Le azioni anti-infiammatorie si attuano mediante l'inibizione della sintesi e liberazione di citokine (IL-1, TNF etc) e altri mediatori solubili (PAF, Leucotrieni etc), nonché mediante la stabilizzazione delle membrane cellulari e degli organuli intracellulare (ad es. i lisosomi). Una delle azioni più importanti è quella di inattivare la fosfolipasi A2, e in tal modo inibire in una fase molto precoce e globalmente i fenomeni infiammatori.
Come immunosoppressori non si comportano tanto da induttori di morte nelle cellule immunitarie (benché i timociti immaturi sono particolarmente sensibili all'azione del cortisone) quanto da sostanze in grado di alterare la comunicazione intercellulare mediante inibizione della sintesi di citokine (ad es.IL-2).
Queste azioni si attuano mediante il legame dello steroide a recettori citoplasmatici, il complesso migra nel nucleo dove regola la sintesi del DNA.
Con diversi accorgimenti strutturali sono state sintetizzate numerose molecole che differiscono tra loro per potenza, farmacocinetica,
ed effetti secondari; in particolare si è cercato di aumentare la potenza anti infiammatoria e ridurre gli effetti mineral corticoidi, osteopenizzanti iperglicemizzanti etc.
In questo modo si sono ottenute molecole più potenti e maneggevoli nella pratica clinica: il prednisone e prednisolone presentano una potenza 4 volte maggiore rispetto al cortisolo; il desa- e betametasone 25 volte superiore rispetto al cortisolo; il deflazacort associa ad un’elevata potenza una ridotta capacità osteopenizzante (Fig.3).
Nell'uso clinico degli steroidi è possibile osservare due categorie di effetti tossici: quelli secondari ad una brusca sospensione della somministrazione (crisi addisoniana con rebound della sintomatologia clinica) e quelli derivanti da una somministrazione prolungata di dosi elevate (alterazioni del bilancio idro-elettrolitico, ipertensione arteriosa, diabete steroideo, osteoporosi, miopatie, alterazioni del tono dell'umore, cataratta, glaucoma, habitus cushingoide, aumentata suscettibilità alle infezioni, ulcere peptiche (?), etc..) (Fig.4).
Nel bilancio tra tossicità ed effetti terapeutici occorre considerare i seguenti principi, ricordando che in ogni caso il loro uso è in gran parte empirico (Fig.5):
1) per qualsiasi malattia e per qualsiasi paziente, la dose appropriata per ottenere un dato effetto terapeutico deve essere determinata per tentativi e deve essere rivalutata periodicamente via via che cambiano lo stadio e l'attività della malattia;
2) una singola dose di corticosteroidi, anche elevata, è pressoché priva di effetti nocivi;
3) è improbabile che alcuni giorni di terapia con un corticosteroide, in assenza di controindicazioni specifiche, causi effetti nocivi, tranne che a dosi estremamente elevate;
4) quando la terapia si prolunga per settimane o mesi, per dosi superiori all'equivalente di una terapia sostitutiva, aumenta l'incidenza degli effetti sfavorevoli e potenzialmente letali;
5) tranne che nell'insufficienza surrenalica, l’effetto della terapia è solo palliativo;
6) la sospensione brusca di una somministrazione protratta di dosi elevate, implica un rischio di crisi addisoniana tale da mettere in pericolo la vita del paziente.
Per ovviare a tali problemi si usano alcuni accorgimenti che variano in relazione al tipo di malattia e alla sintomatologia lamentata dal paziente (Fig.6):
La Ciclosporina A
La CsA è un farmaco dalla struttura complessa (Fig.7) che presenta diverse funzioni biologiche: fungicida, anti parassitario e anti infiammatorio. Nella pratica clinica si sfrutta quasi esclusivamente la sua funzione di blocco delle reazioni immuni che coinvolge sia l’immunità umorale che cellulo-mediata. Quest’attività immunosoppressiva è il risultato dell’inibizione dell’attività dei linfociti T CD4+ (helper) mediante l’inibizione della produzione delle citokine da essi prodotte durante l’attivazione.
I suoi effetti sono mediati dall’inibizione di fattori di attivazione dei geni delle citokine.
Questa attività non è nota nei dettagli, ma si sa che la via elettiva è la inibizione del legame del fattore NF-AT ai promoter dei geni delle citokine (in modo particolare del promoter della IL-2), e l’inibizione parziale del fattore NF-KB. Questa azione si attua dopo il legame con specifici recettori citoplasmatici noti come Ciclofilline (Fig.8).
La via secondaria è rappresentata da una inibizione delle sintesi proteiche dopo legame con la ciclofillina. Gli effetti della CsA e di suoi analoghi (Fk-506 - Fig.9- Rapamicine -Fig.10) può essere abolito dalla somministrazione esogena di IL-2.
Gli usi clinici (Fig.11) del farmaco riguardano diverse patologie: la principale indicazione riguarda la prevenzione del rigetto nel trapianto d’organo, da sola o in associazione ad altri immunosoppressori.
Viste le dosi elevate (mediamente 7 mg/kg) e la durata del trattamento, in questa situazione occorre monitorare la tossicità del farmaco: il principale effetto dose-limitante appare la tossicità renale, e per tale ragione è opportuno monitorare la pressione arteriosa e la funzionalità renale (azotemia, creatinina e filtrato) in modo da individuare la massima dose tollerata.
Le vecchie formulazioni soprattutto orali ponevano problemi di biodisponibilità e la necessità di un dosaggio delle concentrazioni plasmatiche del farmaco (range compreso tra 100 e 150 mcg/ml) con le attuali formulazioni il problema è minimizzato.
L’altro accorgimento durante la terapia consiste nell’evitare la somministrazione di farmaci che abbiano interferenze col metabolismo epatico del farmaco e che possono alterare i livelli plasmatici dello stesso (Fig.12).
Usi alternativi della CsA riguardano altre malattie immunopatologiche, preferenzialmente in associazione con altri farmaci a dosi ridotte rispetto a quelle usate nella profilassi del rigetto (3-5 mg/kg). Particolarmente promettente è il suo uso in patologie scarsamente responsive alla terapia steroidea, come ad esempio la sclerodermia.
Un nuovo campo di utilizzo è rappresentato dalla terapia dell’orticaria cronica idiopatica e nella dermatite atopica, in cui le basse dosi utilizzate (mediamente 3 mg/kg) e la durata non lunga del trattamento appaiono più favorevoli rispetto alle terapie convenzionali; minimizzano inoltre il fenomeno di rebound dopo la sospensione, che la fa prediligere agli steroidi.
Alchilanti
Questa classe di composti di composti di cui la Ciclofosfamide (Fig.13) rappresenta l’eponimo, vengono usati principalmente come agenti antineoplastici; come immunosoppressori vengono usate alcune caratteristiche che sono inquadrabili nell’ambito degli effetti collaterali: sono infatti citotossiche nei confronti di cellule in attiva replicazione come quelle del tessuto linfoide. Quello che rappresenta un effetto collaterale della terapia antineoplastica diventa il cardine della terapia immunosoppressiva. Uno degli usi clinici più diffusi è quello di "Purging" nell’autotrapianto di midollo osseo, o di agente aplastizzante in associazione alla radioterapia nel trapianto eterologo.
Rispetto alla terapia antineoplastica, a differenza degli altri antineoplastici, vengono usate dosi molto elevate di farmaco: per questo motivo occorre monitorare i possibili effetti collaterali a livello vescicale e cardio-polmonare, nonché le complicanze ematologiche.
Nelle malattie immunopatologiche viene usata spesso in associazione agli steroidi per ridurre la dose degli stessi, o nelle forme scarsamente responsive alla terapia steroidea quale ad esempio la nefrite lupica o altre complicanze del LES.
Azatioprina
Questo farmaco è un analogo purinico e con tale meccanismo inibisce la sintesi di DNA in cellule in fase di attiva replicazione. Analogamente alla ciclofosfamide viene usato nella terapia di alcuni tumori, con alcune differenze importanti: nella terapia antineoplastica, dosi elevate vengono somministrate ciclicamente, in modo da permettere la ripresa midollare. Come immunosoppressore vengono assunte dosi notevolmente più basse ma in modo continuativo.
In questo modo viene minimizzato il rischio della comparsa di tumori maligni e sono più rari gli effetti collaterali; nonostante ciò, durante la terapia è opportuno praticare degli esami emocromocitometrici inizialmente settimanali e in seguito bisettimanali; parallelamente è necessaria una routine ematochimica a cadenza almeno mensile.
Analogamente alla ciclofosfamide, l’uso clinico è limitato alle terapie di associazione per ridurre la dose di steroide o nel caso in cui la sola terapia steroidea sia inefficace.
La dose media è compresa tra 3 e 5mg/kg in una o due somministrazioni.
Metotrexate
Analogamente ad altri immunosoppressori viene usato nel trapianto d'organo e in alcune malattie immunopatologoche quali LES e AR.
questo farmaco è un potente inibitore della deidro folico-reduttasi con inibizione dei processi di sintesi del DNA. La dose media nella terapia della artrite reumatoide grave è di 7,5 mg/settimana, da aumentare eventualmente fino a 20 mg\sett.
La tossicità a lungo termine comprende alterazioni ematologiche, fibrosi epatica e polmonare.
Anticorpi monoclonali
Non appena questi agenti furono disponibili, si immaginò di poterli impiegare in terapia. Gli McAb teoricamente costituiscono infatti una "pallottola magica", capace di colpire alcuni elementi cellulari o alcuni recettori in modo estremamente selettivo. Nonostante che la tecnologia per produrre tali molecole fosse disponibile da anni, questa modalità terapeutica non conseguì i risultati sperati in quanto le preparazioni disponibili erano costituite da anticorpi murini che quindi evocavano risposte immunitarie da parte dell'ospite che le riconosceva come molecole estranee.
La produzione di anticorpi diretti contro l'anticorpo murino portava al blocco della funzione cui il McAb era preposto; erano inoltre possibili reazioni di ipersensibilità verso le diverse preparazioni, alle volte fatali.
Per questo motivo venivano utilizzati esclusivamente in individui immunosoppressi nella prevenzione del rigetto da trapianto.
Con questa indicazione venivano usate due preparazioni:
a) Anticorpo anti-CD3 che portava ad un blocco funzionale dei linfociti T (in virtù del principio che la stimolazione di un linfocita in assenza di segnali costimolatori porta ad anergia funzionale);
b) globulina anti-timocitica equina che porta a distruzione complemento mediata dei linfociti T.
Queste preparazioni trovano uso esclusivo in associazione con immunosoppressori nella profilassi del rigetto acuto (scarsamente sensibile alla ciclosporina )e GVHD. L'associazione con ciclosporina è da evitare in quanto antagonistica.
Recentemente si è riusciti ad "umanizzare" gli anticorpi monoclonali costruendo degli ibridi molecolari (chimere) in cui viene conservato l'epitopo dell'anticorpo murino che viene fuso con la restante porzione di un anticorpo umano funzionalmente identico ad un anticorpo naturale. Con questo accorgimento vengono mantenute le specificità antigeniche dell'anticorpo murino ed evitata la produzione di anticorpi bloccanti e gli effetti collaterali.
Il primo anticorpo di questo tipo è già disponibile ad uso clinico: si tratta di un anti-CD20 che viene usato con successo nella terapia di particolari linfomi B-cellulari non responsivi alla chemioterapia convenzionale.
Anticorpi con altre specificità sono in fase avanzata di sperimentazione per altri tipi di patologie.
Una forma molto specifica ed efficace di terapia con anticorpi (non monoclonali) viene usata da tempo nella profilassi della incompatibilità Rh materno-fetale.
Prospettive future...
Bloccanti dei recettori delle Linfokine (in fase avanzata di sperimentazione clinica nella terapia dell'artrite reumatoide refrattaria ad altre terapie).
Immunostimolanti
Tra gli immunostimolanti esistono una serie di sostanze dotate di interessanti proprietà in vitro, che non sempre sono state osservate in vivo (nella miriade di indicazioni proposte).
Tra gli immunostimolanti ricordiamo innanzitutto gli Ormoni Timici: un insieme di sostanze di natura peptidica, sequenziale e clonate, delle quali si conoscono i dettagli molecolari, ma le cui funzioni biologiche non sono del tutto chiarite.
Fattore Umorale Timico (THF)
Questo octapeptide si dimostra capace di indurre la produzione di Il-2 e la proliferazione linfocitaria in vitro; i dati clinici in vivo dimostrano che si dimostra capace di ristabilire l’equilibrio Helper/suppressor, di stimolare i precursori midollari, e ricostituire le difese cellulo-mediate in pazienti immunosoppressi per tumori o immunodeficienze secondarie da radio e/o chemioterapia.
Timomodulina
Questo è un prodotto della ricerca Italiana, del quale si sostenevano proprietà miracolose (somministrato per os…); è stato diffusamente utilizzato (in Italia) fino allo scandalo del SSN.
Si sosteneva una capacità di miglioramento dei sintomi in corso di diverse infezioni, allergie, neoplasie. Tutte queste proprietà si sono dimostrate aneddotiche e non confermate da studi clinici controllati.
Timopoietina e suoi analoghi
In vitro dimostra capacità stimolatorie nei confronti di T linfociti e inibitorie verso i B; induce la sintesi di IL-2, potenzia il Killing linfocitario etc. anche per questo farmaco esistono indicazioni cliniche anedottiche soprattutto nei confronti di tumori maligni; ma non esistono indicazioni codificate o studi che ne confermino l’efficacia.
Timosina (TF-5)
Oltre agli effetti in vitro visti prima, tale peptide ha dimostrato azioni sinergiche con IFN alfa, potenzia la capacità di killing, induce la produzione di TNF-alfa. Come terapia adiuvante, ha dimostrato capacità di prolungare la sopravvivenza in alcuni tipi di tumore polmonare.
Timostimolina (TP1)
Condivide gli effetti in vitro degli altri ormoni timici, riduce l’attività leucocitaria nelle BPCO, potenzia l’attività monocito-macrofagica (in pazienti con carcinomi cervico-facciali.
Gli ormoni timici possono avere un’efficacia terapeutica in alcune immunodeficienze primitive T. Queste sostanze hanno indicazioni sommarie come "immunostimolanti", non confermate da studi clinici controllati; visto il loro costo elevato e i benefici nella migliore delle ipotesi aneddotici, se ne sconsiglia l’uso clinico al di fuori delle terapie sostitutive, almeno fino a quando non avremo imparato a conoscere i vantaggi e i limiti del loro impiego.
Citochine
Terapia con citokine: anche questa modalità terapeutica presenterà nuovi sviluppi.
La citokina più usata in terapia è la IL-2.
Tale citokina è usata da anni come terapia adiuvante nel melanoma, tumori renali e altri tumori solidi (con risultati discutibili).
Una prospettiva interessante è quella di un suo uso nella infezione da HIV come parte integrante di terapie antivirali; il razionale di un suo uso clinico è dato dalla sua capacità di fungere da fattore di crescita e di stimolazione dei linfociti, e dalla possibilità di attivare le cellule "resting" cronicamente infettate, facendo in modo che queste entrino in ciclo e divengano suscettibili all'azione degli antivirali.
IL-12
Un altro approccio molto promettente è quello dell’uso di IL-12: tale citokina viene secreta principalmente dalle APC stimolate e induce la maturazione di Linfociti TH1della immunità cellulo-mediata; essa potenzia inoltre l’azione dei CTL e delle NK. Studi in vitro dimostrano anche un aumento dell’immunità specifica verso HIV nei confronti del quale potrebbe avere indicazioni cliniche future.
Un altro campo di applicazione di tale citokina potrebbe essere quello delle malattie allergiche vista la sua capacità di bilanciare le risposte immunitarie e inibire la sintesi di citochine che inducono la produzione di IgE.; a tale scopo stanno partendo degli studi in vivo che tendono a dimostrarne l’efficacia.
Immunoglobuline ad alte dosi
Le Ig del commercio, purificate da plasma o da placente, costituiscono un interessante metodo di immuno-modulazione, se impiegate a dosi molto elevate (ad esempio 400 mg/kg/die x 4-6 giorni). Le molecole possono in alcune condizioni determinare un blocco del sistema reticolo istiocitario: ad esempio nella piastrino-penia autoimmune si ottiene una sorta di "splenectomia immunologica" con la somministrazione di Ig a molecola intera, che bloccano i recettori per Fc delle IgG degli istiociti, impedendo la fagocitosi delle piastrine ricoperte da auto-Ab. In altre condizioni, come le malattie autoimmuni, in cui si sospetta un difetto del "network idiotipico", si tenta di sostituire il network difettoso del paziente con quello normale delle Ig provenenti da individui sani. Il meccanismo d’azione è dubbio, ma il trattamento in alcune condizioni si dimostra efficace.